Nella sala Jappelli del Museo, Elisabetta Di Maggio ha intagliato con il bisturi l’intonaco di un angolo di muro, riportando alla luce gli strati del colore precedente e il tempo che sopra vi è trascorso.
Elisabetta ricama i muri, permettendo a memorie sepolte di affiorare in superficie. Usa il ricamo come linguaggio universale e riconoscibile, per raccontare storie fatte di frammenti che parlano di tempo. Traccia fili sottili e fragili che tentano di legare insieme passato, presente e futuro, inventando mappe di arcipelaghi tenui e improbabili da attraversare e percorrere con lo sguardo.
Il suo progetto parte dal desiderio di dialogo con il tempo: in un luogo che fu una dimora familiare, attraversato da gesti domestici, il gesto quotidiano di ricamare il muro recupera la memoria di un vissuto.
Dopo un attento studio dei particolari, l’artista ha scelto cinque diversi frammenti di tessuto originali che nel corso di cinque secoli hanno rivestito le sale del palazzo. Assemblando, trasformando e ridisegnando le forme, Elisabetta ha composto un merletto elaborato che ha poi inciso sulla parete. L’effetto ottenuto riporta a luoghi dove frammenti strappati di tappezzerie sono gli unici testimoni della vita trascorsa. In questa sospensione sottile il tempo non esiste più, la memoria diventa presente e prende forma universale.